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Come nasce una falce di luna? Breve storia del logo degli Adelphi

Se entriamo in una libreria, o facciamo correre gli occhi distrattamente sugli scaffali ricolmi di libri di qualche amico, ci bastano pochi secondi per riconoscere le case editrici più memorabili. Il bianco è il marchio di fabbrica degli Einaudi. A nessuno passa inosservato un Iperborea. E quasi nulla cattura l’attenzione più della semplicità di un Adelphi. In tutti i casi, stiamo parlando di mescolanze di caratteri tipografici, colori e gabbie grafiche che rimangono bene impresse nella mente. Ma come sono nate queste vesti? E cosa ci dicono dei libri che leggiamo e delle persone che li costruiscono?

Iniziamo questo viaggio partendo dai simboli. Dai loghi, insomma. Oggi vi parlo di uno dei miei preferiti: quello degli Adelphi. Mi ha spesso ricordato una maschera antropomorfa che sorride. Altre volte, ci ho visto due spiritelli che danzano, quasi galleggiando; ai loro piedi, una barca.

Il logo degli Adelphi

Nel 1961, Luciano Foà lascia Einaudi. L’anno dopo fonda a Milano una nuova casa editrice, insieme a un gruppo di amici. La chiamano Adelphi, una parola greca (ἀδελφοί) che racchiude l’idea di fratellanza, sodalizio.

Etimologia della parola “adelphi”.
© Vocabolario Etimologico della Lingua Italiana.

Per loro è fondamentale realizzare libri unici e immediatamente riconoscibili. Le copertine riprendono una gabbia grafica ideata dall’illustratore inglese Aubrey Beardsley, di cui parleremo un’altra volta. E il logo, dunque?

Nasce quasi per caso. Una mattina, Foà posa gli occhi su un libro che gli ha portato Claudio Rugafiori. Si tratta di Tod, Auferstehung, Weltordnung (Morte, resurrezione, equilibrio) di Carl Hentze, un sinologo tedesco. Sfogliandolo, qualcosa attira la sua attenzione: due figure umane che fluttuano sopra una falce di luna crescente. È l’antico pittogramma cinese della luna nuova: simbolo di morte e rinascita. Quel libro fa ancora parte della biblioteca di Luciano Foà, oggi aperta al pubblico dalla Fondazione Mondadori. Dalla scheda di catalogo scopriamo che alla pagina 34 si trovava un bigliettino con uno schizzo del logo, ispirato all’immagine che proprio lì appare. 

Il pittogramma della luna nuova nel libro di Carl Hentze. Credit: Ritratto di editore: la biblioteca di Luciano Foà in mostra a Milano. © La Stampa.

Non potevano chiedere di meglio. Come racconta Roberto Calasso ne L’impronta dell’editore, il loro obiettivo era quello di “fare bene quello che in precedenza era stato fatto meno bene e fare per la prima volta quello che allora era stato ignorato”. Cominciano proprio con l’edizione critica di Friedrich Nietzsche, che Einaudi si era strenuamente rifiutata di pubblicare. È così che iniziò a splendere una luna nuova.

L’impronta dell’editore di Roberto Calasso. © Adelphi.

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